Storia della Sindrome di Ondine
28 Dicembre 2015Appunti di un papà
28 Dicembre 2015Ondina era una ninfa acquatica, bellissima e immortale. Per amore di un uomo perse la sua immortalità, cominciò ad invecchiare e l’uomo la tradì. Per questo la ninfa lanciò lui una terribile maledizione: “Tu mi hai giurato fedeltà con ogni tuo respiro, ed io ho accettato il tuo voto. Così sia. Finché sarai sveglio, potrai avere il tuo respiro, ma dovessi mai cadere addormentato, allora esso ti sarà tolto e tu morirai!”. Da questa maledizione mitologica prende il nome la Sindrome di Ondine – che i medici chiamano più correttamente Congenital central hypoventilation syndrome (CCHS), rara malattia genetica che fin dalla nascita trasforma il sonno in un incubo per tutta la famiglia.
Dormire può significare non respirare autonomamente e dover ricorrere alle macchine, ma se qualche cosa va storto, se un allarme non suona per risvegliare il bimbo o i genitori, si può rimanere senza ossigeno riportando danni gravi o morendo. Sembra quasi di essere nel film horror ‘Nightmare’ dove i protagonisti fanno di tutto per non dormire, perché è nel sonno che arriva l’uomo che vorrebbe ucciderli: e per il genitori in effetti, soprattutto all’inizio, quando viene fatta questa diagnosi, è davvero un incubo.
“Ok, allora chiudi gli occhi e rilassati, stai dormendo” – racconta – la casa è buia, la notte è fredda. Il tuo bimbo è collegato come ogni notte al ventilatore che lo fa respirare e lo mantiene in vita. Attaccato al suo piedino il sensore infrarosso del saturimetro che legge la saturazione dell’ossigeno e la visualizza su un piccolo display. Luca si gira nel sonno, ha un sussulto: l’allarme scatta all’istante, una breve interruzione del segnale, un valore fuori norma e tu sei in piedi che corri nella sua stanza, urti con l’anca l’angolo del letto. Il saturimetro ha smesso di suonare, visualizza beffardo quel numero fatidico: 95, 94, 95, 96%. Tutto ok allora, ma perché cavolo ha suonato, mi domando.
Sono le 3,20 è la quarta volta che mi sveglio questa notte. Mezz’ora fa si era staccato il tubo, ma questa si poteva evitare!
Mi trascino nel letto sperando di non sentire più quel beep odioso, ma non posso mettere la testa sotto il cuscino. Mai neanche se vorrei farlo: la sua vita è nelle mie mani. La sensazione di precarietà è indicibile se penso alla sua fragilità e che tutto è affidato a quel beep.
Quanto potrò resistere in questo modo?
Quanto potrà resistere lui stesso prima di spegnere quell’accidenti di “coso” per abbandonarsi ad un sonno sereno ed ininterrotto????
E ancora, quanto starà la medicina a trovare una terapia per questi bambini e per dare loro la possibilità di un sonno sereno e autonomo, di una vacanza con gli amici, di una notte in campeggio o anche solo la serenità di addormentarsi sul sedile posteriore di un’auto al rientro da un lungo e divertente viaggio?”